RITI DI SANGUE, CARESTIE E CANNIBALISMO NEI REGIMI COMUNISTI
Storia
Di Michael Carbone
Sin dall'antichità i riti di sangue sono sempre stati applicati per la realizzazione di un grande piano voluto dagli imperi. Offrendo i sacrifici a determinate entità esse vengono alimentate e forniscono energia agli uomini che commettono tali atrocità al fine di ottenere potere. Era così nell'Antico Egitto, era così nell'antica Mesopotamia, era così per le civiltà sudamericane come gli Inca e i Maya, anche per i greci e i romani che soprattutto nelle festività come il Sol Invictus offrivano sacrifici agli dei al fine di ottenere ancora più potere ed energia. Insomma, tutte le grandi civiltà pagane del passato hanno compiuto inevitabilmente rituali di sangue.
Non ci soffermiamo sulle antiche civiltà citate precedentemente ma su orrori avvenuti non molti decenni fa e non molto lontano da noi.
Carestie causate dall’uomo, disastrose politiche di pianificazione centrale, massacri continui di una fetta della popolazione: sono alcune delle caratteristiche tipiche dei regimi comunisti.
In questo tipo di regimi, procurarsi beni di prima necessità può diventare un vero problema. È anche per questo che sotto i regimi comunisti di Unione Sovietica, Cina, Cambogia, Etiopia e Corea del Nord, si sono verificati innumerevoli episodi di cannibalismo.
Ma cosa c'era dietro questi orridi avvenimenti? Perché addirittura si arrivò all'uccisione di esseri umani e al cannibalismo? Che i comunisti mangiassero i bambini è solo una leggenda? Difatti no, e qui di seguito vedremo, anche se la verità come spesso è occultata.
Alimentare lo "spettro"
Come molti sapranno Karl Marx era un satanista dichiarato. La sua origine ebraico-talmudica e la sua istruzione fornitagli dai gesuiti fa di lui il vero erede diretto di Adam Weishupt, il fondatore degli Illuminati di Baviera. Marx ed Engels hanno difatti riportato all'interno della loro bibbia satanica ovvero il Manifesto del Partito Comunista tutti i piani che già vi erano presenti nel manifesto degli Illuminati di Baviera scritto da Weishupt. La parola "manifesto" viene difatti utilizzata all'interno delle logge massoniche in particolare quelle di Rito Scozzese (il primo rituale), ma anche quelle di York, Memphis & Israem e quelle cabalistiche in generale per indicare la stesura di un piano. La parola deriva dal latino "edictum" ma in anglosassone (siccome Marx era tedesco così come Adam Weishupt) significa anche "manifest" cioè "manifestarsi" o "manifestazione" a seconda del paese (Germania o Gran Bretagna), ovviamente il manifestarsi di un qualcosa, di un'entità. La natura luciferina di Karl Marx viene spiegata bene all'interno del suo manifesto quando attacca in maniera spietata le religioni scagliandosi in maniera particolare contro il cristianesimo definendolo "religione dei deboli". L'applicarsi prima del socialismo di Weishupt e poi del comunismo di Marx in Europa ha infatti determinato inevitabilmente la distruzione delle vecchie monarchie secolari che hanno determinato un grande espandersi della cristianità sul vecchio continente. Idem per la Russia ortodossa e zarista, ma anche per altri imperi come quello in Cina.
La prima internazionale Socialista a Parigi nata a seguito della falsa rivoluzione francese che è servita a distruggere i monarchici francesi per imporre un sistema-prototipo di social-democrazia è servita a stendere le basi in tutta Europa per il socialismo odierno. Stessa cosa per gli Stati Uniti con la distruzione degli Stati Confederati autarchici e sovrani, con la rivoluzione del 1776 (per pura "coincidenza" l'anno della nascita degli Illuminati) si è imposta l'odierna social-democrazia americana controllata interamente da apparati occulti e massonici che coalizzati formano il Novus Ordo Secolorum (riportato anche sulla banconota da un dollaro). Tutte queste rivoluzioni, così come quelle in Russia, Cina, Corea, Cambogia, Vietnam, Cuba, ecc. hanno in comune fatti di violenza e sangue senza precedenti. In ogni paese in cui il socialismo e poi il comunismo marxista-leninista hanno messo piede vi sono stati centinaia di morti, violenza spietata e senza confini come mai avvenuto in altre rivoluzioni precedenti. Questo perché il sangue (il colore rosso, il colore del sacrificio, ovvero il colore del socialismo) alimentano lo Spettro che da Marx viene citato. Per i più, soprattutto per i comunisti che leggeranno questo articolo, lo Spettro è solo una metafora che indica lo spargersi del virus comunista, ma in realtà trattasi di un'entità demonica molto pericolosa. Non sappiamo precisamente se questa entità può essere associata al Moloch o al Baal (che venne lodato dagli Israeliti alla liberazione dalla schiavitù d'Egitto) ma in ogni caso è un'entità che viene alimentata tramite sacrifici umani rituali.
Ciò può essere anche associato allo Yom Kippur ovvero il sacrificio rituale degli israeliti di capre (il caprone, il Bafometto), agnelli e pecore a Yaweh, idem per il Korban anche questo di talmudica memoria anche detto "olocausto animale".
Insomma, in un modo o nell'altro questi sacrifici umani che vedremo riportati qui di seguito hanno un solo scopo: alimentare lo Spettro affinché esso diffonda il socialismo, ideologia anticristica volta alla distruzione dell'ordine precedentemente stabilito, dell'ordine naturale delle cose per sottomettere l'umanità (e sarà così con il trionfo del Dragone dell'Apocalisse cinese come riportato in questo mio articolo e vi invito anche a visionare la puntata di Tana del Bianconiglio che dedicai al Socialismo occulto per approfondire meglio l'aspetto esoterico del socialismo https://www.youtube.com/live/2_x_vX3FVbs?si=ILWOh4CGBn5Nl9g9.
ATTENZIONE: A seguire nell'articolo verranno riportare immagini forti.
Le carestie in Cina
Jasper Becker, autore dell’opera La rivoluzione della fame: Cina, 1958-1962: la carestia segreta, afferma che in quel periodo i cinesi sono stati costretti dalla disperazione a vendere carne umana nei mercati, e addirittura a scambiarsi i figli per non essere costretti a mangiare i propri. ‘Il grande balzo in avanti’, che si protrasse dal 1958 al 1962, fu ideato direttamente da Mao secondo molti storici e ricercatori, tra cui il famoso storico olandese Frank Dikotter. Fondamentalmente Mao tentò di replicare i piani quinquennali implementati dal leader sovietico Joseph Stalin.
Becker ha scritto che a quel tempo "la Cina era in pace. Nessuna calamità aveva distrutto il raccolto. Non ci furono inondazioni o siccità insolite. I granai erano pieni e anche altri Paesi erano pronti a spedire grano. Inoltre, le prove dimostrano che Mao e la burocrazia cinese avevano il pieno controllo dei meccanismi governativi".
Durante il periodo del ‘Grande Balzo in avanti’, nell’ottobre 1958, i dipendenti dello Shin Chiao Hotel di Pechino costruiscono nel cortile dell’albergo (sullo sfondo) un piccolo e rudimentale forno per la fusione dell’acciaio.
Il cannibalismo bolscevico
Nell’Unione Sovietica ci sono stati almeno due tragici momenti in cui il cannibalismo era diventato una pratica comune e molto diffusa. Il primo si è verificato durante la cosiddetta carestia di Povolzhye, che ha afflitto la Russia tra il 1921 e il 1923, sotto il dominio del leader comunista Vladimir Lenin.
La Croce Rossa ha riferito che in quegli anni i contadini russi "dissotterravano i corpi per mangiarli".
"Dopo i campi di sterminio della prima guerra mondiale, gli sconvolgimenti politici in Russia e in altri Paesi, e la dilagante diffusione di malattie tra le comunità stremate, è arrivato anche il pericolo di una carestia che di fatto ha messo a rischio circa 32 milioni di vite umane tra Russia, Ucraina e Georgia. Oltre al degrado dei servizi sanitari provocato dai disordini politici, la regione ha subito una devastante siccità, che ha provocato una grande carestia".
Un uomo e una donna davanti a parti del corpo di bambini. Si stima che la carestia russa del 1921-1922 abbia causato tra i 5 e i 10 milioni di morti. (Dati di pubblico dominio).
Più tardi, sotto Stalin, il fenomeno del cannibalismo si è ripetuto durante l’Holodomor, conosciuto anche come "Carestia del Terrore", dove si stima che morirono tra i 7 e i 10 milioni di ucraini. Alcuni storici sostenevano che furono Stalin e la stessa dirigenza sovietica a pianificare la carestia per eliminare un movimento indipendentista ucraino.
La sopravvivenza era una lotta sia morale che fisica», afferma Timothy Snyder in Bloodlands: Europe Between Hitler and Stalin, riferendosi ai racconti del cannibalismo, descritto come una pratica diffusa durante l’Holodomor, che durò dal 1932 al 1933. Sempre nel suo libro Snyder scrive: «Nel giugno del 1933 una dottoressa confidò a un’amica di non essere ancora una cannibale, ma anche: “Non sono sicura di non diventarlo prima che la mia lettera ti sarà arrivata”. Le brave persone sono morte per prime, poi sono morti quelli che si rifiutavano di rubare o di prostituirsi. Chi dava il cibo agli altri moriva. Chi si rifiutava di mangiare i cadaveri moriva. Chi si rifiutava di uccidere il prossimo moriva. I genitori che hanno resistito al cannibalismo sono morti prima dei loro figli».
Anche i sovietici l’hanno ammesso. Come dimostrano i documenti, circa 2.500 persone sono state condannate per cannibalismo durante l’Holodomor.
L'isola di Nazino
In un clima di generale cambiamento e di grande difficoltà, nel febbraio del 1933, Genrich Grigor'evič Jagoda e Matvei Berman, presentarono a Stalin un progetto di “ricollocazione forzata”, che avrebbe coinvolto circa 2 milioni di persone. I territori prescelti per attuare il favoloso progetto furono Siberia e Kazakistan (territori dell'antico regno della Khazaria come come spiego qui).
La Russia è un Paese transcontinentale con una superficie di 17 098 242 km², che si estende tra Europaed Asia. E’ il più vasto Stato del mondo. Oltre la metà del suo territorio è disabitata. Confina con molti stati, alcuni dei quali hanno nomi sconosciuti ai più.
Numerosi sono i territori inospitali che la compongono. Il vento soffia in queste terre coperte di ghiaccio per molti mesi all’anno, rendendo ancora più freddo quello che alcuni definiscono inferno bianco.
Proprio in questi luoghi, nel 1933 ha avuto luogo un interessante “esperimento sociale di sopravvivenza”, così è stato definito dalle autorità sovietiche del tempo. Il governo era guidato da Iosif Vissarionovič Džugašvili, per molti rivoluzionario di professione, per altri “un caso clinico di un sadismo non sessuale” (cit. Erich Fromm). Tutti lo conosciamo come Josif Stalin, padre della rivoluzione bolscevica del 1917.
Dal 1924, dopo una vita avventurosa e ai limiti della legalità, divenne gradualmente dittatore del suo Paese fino al 1953, anno della sua morte.
Josif Stalin, georgiano di origine, era per tutti l’uomo d’acciaio. Guidava il paese con fermezza, avvalendosi di uomini fedeli e preparati, che con la sua guida avrebbero riportato la Russia ai fasti di un tempo.
Tra il 1932 e il 1933 il paese visse un periodo davvero difficile. La nazione intera si trovò ad affrontare una mastodontica carestia, causata da diversi fattori, ma fondamentalmente riconducibile, a mio avviso, a due scelte fatte dal governo di Stalin. Prima causa fu la collettivizzazione forzata, iniziata con una imponente campagna di massa tra 1929e il 1933. I contadini sovietici ricevevano un certo tipo di dividendo soltanto dopo che erano stati inviati allo Stato i beni che obbligatoriamente dovevano essere prodotti entro le quote stabilite. La collettivizzazione forzata, non è da confondersi con la collettivizzazione volontaria, come quella che ha luogo nei Kibbutz israeliani. La seconda causa fu lo sterminio dei kulaki, antica classe produttrice agricola, proprietaria di numerose terre, considerati nemici dello stato.
Nel 1927 Stalin, in occasione di una crisi agricola, decise di reintrodurre le misure sulla requisizione di cereali tipiche del comunismo di guerra, ed iniziò una dura campagna denigratoria contro i kulaki. Le loro terre, confiscate, entrarono nel meccanismo della collettivizzazione forzata. Vennero unificate in cooperative agricole chiamate Kolchozo in aziende di stato, chiamate Sovchoz, che avevano l’obbligo di consegnare i prodotti al prezzo fissato dallo stato. L’opposizione di contadini e kulaki non tardò arrivare, ma fu vana: nascosero le derrate alimentari, macellarono il bestiame senza autorizzazione del governo e in alcuni casi scesero in campo con le armi. La repressione dello stato fu spietata, eliminazioni fisiche e deportazioni di massa nei campi di lavoro colpirono milioni di contadini.
In questo clima di generale cambiamento e di grande difficoltà, nel febbraio del 1933, Genrich Grigor’evič Jagoda, capo della polizia segreta sovietica, e Matvei Berman, responsabile dei Gulag, presentarono a Stalin un grandioso progetto di “ricollocazione forzata”, che avrebbe coinvolto circa 2 milioni di persone. I territori prescelti per attuare il favoloso progetto furono Siberia e Kazakistan.
A questo punto i commenti sulla follia del piano e sull’assurdità nella scelta del territorio potrebbero essere innumerevoli. Ma non sta a me giudicare ciò che è ovvio per tutti quelli che leggeranno come si svolsero i fatti. Secondo i due strateghi, deportando un così elevato numero di persone nelle terre individuate, l’Unione Sovietica sarebbe riuscita a mettere in produzione in circa due anni, 1 milione di ettari di terre incolte, dando vita a comunità del tutto autosufficienti. Il numero dei candidati alla deportazione, dopo un’ attenta analisi, fu dimezzato nell’aprile del 1933, ed era costituito da contadini, kulaki, criminali e soggetti urbani socialmente sgraditi provenienti dalla grandi città. Il reclutamento, sarebbe stato favorito dal sistema dei passaporti sovietici, mediante il quale tutti i cittadini di età superiore ai 16 anni dovevano ricevere un passaporto russo, senza possibilità di libera scelta della nazionalità. In realtà questo esperimento era il secondo nel suo genere. Nei tre anni precedenti furono realizzati insediamenti forzati impiegando 2 milioni di kulaki, con una riuscita abbastanza soddisfacente. Ma la situazione interna attuale era differente, la Russia era fortemente indebolita dalla grave carestia e si trovava, in quel momento nell’incapacità di fornire un adeguato supporto logistico all’operazione. Nonostante questo, Stalin diede il via libera al progetto sociale.
Secondo il programma, i predestinati dovevano giungere a destinazione nell’isola di Nazino, una remota zona a nord di Tomsk, nel cuore della Siberia, che più che un’isola era una lunga e stretta lingua di terra, circondata dalla taiga, nel punto di confluenza tra i fiumi Orb e Nazina, coperti dal ghiaccio fino alla fine di maggio.
Il campo di prigionia più grosso era previsto proprio a Tomsk. Aveva la capacità di ospitare 15.000 deportati, ma all’inizio delle operazioni era in ristrutturazione.
In aprile arrivarono i primi ricollocati. Erano circa 25.000, costituiti per lo più da kulaki, contadini e cittadini della Russia meridionale. Nessuna struttura esistente era in grado di accoglierli tutti. Molti fra loro erano ammalati e malnutriti già in partenza. Arrivarono alla stazione di Tomsk su due treni, uno da Leningrado e uno da Mosca, che ci impiegarono 10 giorni per giungere a destinazione. Il viaggio fu tremendo. La razione di cibo giornaliera era costituita da 300 gr. di pane a testa. I più forti, si unirono per rubare ai compagni di viaggio cibo e vestiti. Impreparate all’arrivo di tanti disperati, tra cui molte persone pericolose, le autorità di Tomsk decisero di relegare il fiume umano in un luogo circoscritto e lontano dalle unità abitative. Abbandonati a loro stessi, con sempre meno cibo a disposizione, i deportati cominciarono a lamentare anche la necessità di acqua. I mezzi disponibili erano del tutto insufficienti e così pure il personale di sorveglianza. Per questa si decise di inviare una parte dei prigionieri verso il campo di Alexandro Vakhovskaya, non attrezzato e inadeguato per dare accoglienza a quella massa di disperati.
Il 14 maggio 6.000 coloni, seminudi e senza attrezzature adeguate, furono caricati per il trasferimento su quattro chiatte fluviali, usate in genere per il trasporto legname. Fu loro consegnata una razione giornaliera di 200 gr. di pane a testa. I prescelti erano per lo più criminali, allontanati dal resto del gruppo per alleggerire il clima al campo di raccolta, oppure cittadini indesiderati di Mosca e Leningrado.
A sorvegliare il folto gruppo vi erano due comandanti e 50 guardie inesperte, anche loro inadeguatamente attrezzate per fronteggiare il freddo ancora pungente. A completare il convoglio, un carico da 20 tonnellate di farina, che sarebbe dovuto servire durante i primi giorni per consentire di organizzare le attività e sfamare i deportati. Destinazione: isola di Nazino una striscia di terra lunga 3 chilometri e larga 600 metri nel punto più ampio, un inferno in terra. Il viaggio terminò il 18 maggio. Arrivarono 322 donne, 4556 uomini e 27 cadaveri. Pochi di quelli che sbarcarono lo fecero con le loro gambe, erano troppo deboli.
Il 21 maggio, tre ufficiali medici presenti sul posto, accertarono 70 nuovi decessi e riscontrarono i primi cinque casi di cannibalismo.
Il 22 maggio cominciò la distribuzione delle razioni di farina destinate a sfamare i prigionieri. Scoppiarono le prime risse per accaparrarsi una maggiore quantità di cibo. Intervennero le guardie in maniera sommaria per sedare gli scontri, aprirono il fuoco a caso sulla folla, colpendo nel mucchio impazzito. Il giorno successivo si ritentò la distribuzione, ma ancora una volta scoppiarono risse sedate volta a fucilate. Per evitare ulteriori problemi, i guardiani divisero in squadre da 150 unità tutti i superstiti, con a capo un brigadiere che aveva il compito di prendere in consegna la razione per tutto il suo gruppo, e che spesso si approfittò della propria posizione di privilegio. Non avendo forni per cuocere il pane, i prescelti per questo esperimento sociale si cibarono di farina cruda mescolata con acqua del fiume. Scoppiò un’epidemia di dissenteria che fece nuove vittime.
Il 27 maggio arrivarono altre 1200 persone, ma nessuna derrata aggiuntiva.
I più audaci cercarono di fuggire su zattere preparate in emergenza, che affondarono quasi subito. Molti annegarono, stroncati dalle acque gelide, dalla debolezza e dalle malattie che avevano fiaccato il loro fisico. In pochi riuscirono a sopravvivere, ma vennero comunque considerati morti, in quanto totalmente inabili ad affrontare la traversata della taiga verso il primo centro abitato, Tomsk.
Nel frattempo Stalin aveva ritirato la sua autorizzazione a procedere, ma ormai i selezionati erano già stati trasferiti. Nel mese di giugno vennero accertati altri casi di cannibalismo, furono in totale arrestate 50 persone. I cadaveri venivano accatastai in cumuli tenuti sotto controllo costante per scongiurare altri casi di antropofagia. I sopravvissuti, circa 2800 persone, furono trasferiti in altri insediamenti, sempre lungo il fiume Nazina. Molti morirono durante gli spostamenti a causa del tifo.
In luglio altri 250 superstiti furono trasferiti da Nazino, insieme ad un gruppo di 4200 persone proveniente da Tomsk. Le malattie e le privazioni fecero il resto sull’improvvisata popolazione di Nazino. Dei 7000 circa che giunsero in quella maledetta lingua di terra , 200 scamparono per miracolo alla morte.
Il caso dell’ Isola dei Cannibali, così venne ribattezzata, è rimasto sepolto dal segreto per oltre 50 anni.
I tragici fatti di quei giorni sono stati portati alla luce solo nel 1988, con l’inizio dell’apertura verso l’occidente e l’avvento della Glasnost.
Vorrei riportare qui una testimonianza inserita nel libro scritto da Nicolas Werth, L’isola dei cannibali, in cui si racconta tutta la verità che ci arriva dai documenti messi a disposizione dalle autorità sovietiche:
«Sull’isola c’era una guardia di nome Kostja Venikov, era giovane. Faceva la corte a una bella ragazza, anche lei deportata. La proteggeva. Un giorno dovendosi allontanare, disse a un compagno: \”Sorvegliala tu\”, ma anche quello, con tutta quella gente intorno non riuscì a fare granché… qualcuno la prese e la legò a un pioppo: le tagliarono il petto, i muscoli, tutto quello che si poteva mangiare, tutto, tutto, avevano fame. Bisogna pur mangiare. Quando Kostja tornò la ragazza era ancora viva (…) Cose così erano all’ordine del giorno. Per tutta l’isola si vedeva carne avvolta negli stracci. Carne umana tagliata e appesa agli alberi».
Carestie in Corea del Nord
Se il cannibalismo nella Cina di Mao o nell’Unione Sovietica di Stalin sembra legato al passato, la Corea del Nord ne è un esempio più contemporaneo. Una grande carestia ha devastato la Corea del Nord comunista a metà degli anni novanta, uccidendo ben il 10 per cento della popolazione del Paese. I suoi abitanti, affamati, sono stati costretti a cercare cibo nelle campagne.
Nei racconti della giornalista Barbara Demick, che nel 2009 ha pubblicato il libro Nothing to Envy: Ordinary Lives in North Korea, si leggono queste parole, riferite da una donna di Chongjin a una sua amica: "Non comprate la carne se non sapete da dove viene". La donna aveva notato che si diffondevano voci orribili di cannibalismo nelle campagne, e la gente evitava di mangiare carne e metteva in guardia i figli.
Un ufficiale militare nordcoreano che ha disertato per andare in Cina – la legge cinese prevede il rimpatrio in Corea del Nord per i disertori, nonostante il rischio di tortura o esecuzione – ha confermato che in Corea del Nord, durante le frequenti carestie di massa, il cannibalismo è la norma.
Il Washington Post ha riportato queste parole del militare nordcoreano, citate dal libro di Beker: "La gente sta impazzendo per la fame. Uccidono e mangiano persino i loro stessi bambini. Questo genere di cose stanno accadendo in molti luoghi".
Tra il 1994 e il 1998, potrebbero essere morte a causa della carestia nordcoreana tra le 250 mila e i 3,5 milioni di persone; la carestia si è scatenata dopo che nel 1991 l’economia della Corea del Nord è sostanzialmente collassata in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, dovendo interrompere il commercio sovvenzionato tra le due nazioni.
Più tardi, all’inizio del 2012, dopo il decesso dell’allora leader Kim Jong Il, migliaia di persone sono morte di fame. Nel 2013, l’Asia Press ha riferito che nel mezzo della carestia che ha causato 10 mila morti, a Nord e a Sud del Hwanghae ci sono stati "fenomeni" di cannibalismo. Un resoconto inquietante riportava che un uomo avesse riesumato il cadavere di suo nipote per mangiarlo. Circolavano voci terribili che sostenevano come gli uomini bollissero i loro figli.
Il Telegraph ha riferito che nel 2003, le agenzie umanitarie in Corea del Nord avevano comunicato che erano stati rinvenuti resti dei bambini fatti a pezzi e cucinati da persone che avevano un disperato bisogno di cibo. All’epoca, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite ha tentato di accedere ai "mercati contadini" del Paese, ma Pyongyang li ha respinti.
All’epoca un rifugiato ha raccontato: "Pezzi di carne ‘speciale’ sono esposti su stuoie di paglia e messi in vendita. La gente sa da dove vengono, ma non ne parla".
Altrettanti orrori avvennero nella Cambogia del sanguinario Pol Post. Nel corso di quattro anni sono morte 2 milioni di persone, che corrispondono a circa il 25 per cento della popolazione di allora. Durante il regime dei Khmer Rossi di Pol Pot ‘ispirato’ da Mao, dal 1975 al 1979, si sono diffuse atrocità quali tortura, malnutrizione, esecuzioni, malattie e lavori forzati. Pol Pot voleva realizzare la forma più estrema del comunismo mai concepita al mondo, costringendo gli abitanti delle città a lavorare nei campi.
Quel che ha scatenato le epidemie di cannibalismo nella Cambogia controllata dai Khmer rossi non è stata la carestia, ma la pura malizia.
Alcuni soldati e funzionari dei Khmer Rossi sono stati visti consumare parti di corpo umano senza remore.
Nel 2015, il prigioniero politico Ouk Him ha raccontato: "Tutti quelli che si trovavano in prigione l’hanno visto, ed è stato spaventoso, vedere il fegato e il cuore umano freschi. Si è diffusa la storia che i Khmer Rossi mangiavano gli organi interni degli umani perché li rendeva senza pietà, e dava loro il coraggio di uccidere gli altri".
Durante un’udienza del 2016 per il genocidio, i testimoni hanno fatto eco alle sue affermazioni, testimoniando contro il «Fratello numero due» Nuon Chea, il primo ministro della Cambogia.
Meas Sokha, durante il processo ha riferito: "Mentre mi occupavo di mucche e bufali, ho potuto vedere come venivano uccisi i prigionieri. Alla maggior parte tagliavano la gola. Due (guardie dei Khmer Rossi) tenevano un prigioniero e un altro gli tagliava la gola. Ogni volta che ammazzavano qualcuno, le guardie bevevano vino insieme alla cistifellea. Sapevo che era di origine umana. Ce n’erano molte essiccate al sole vicino al recinto".
In seguito ha descritto l’omicidio e il successivo cannibalismo ai danni di una donna incinta per mano delle guardie dei Khmer Rossi.
Conclusioni
Si stima che il comunismo abbia ucciso almeno 100 milioni di persone, ma i suoi crimini non sono stati del tutto puniti e la sua ideologia persiste ancora. Lo Spettro è stato alimentato a tal punto da aver ormai contagiato il mondo intero, specialmente quello occidentale. Quello che chiamano occidente capitalista non è nient'altro che il "paziente zero" da cui è partito il virus comunista. Il capitalismo è stato il mezzo finanziario che è servito ad alimentare il socialismo in tutto il mondo. Che voi lo chiamate globalismo la differenza è minimale poiché tutte le ideologie woke sviluppatesi dal '68 in poi con la new age (vi invito a guardare anche la puntata di Tana del Bianconiglio dedicata alla new age: https://www.youtube.com/live/Tt_Cfk4S28M?si=h4F0xy8EcsI7nsc7) col sovvenzionamento di società occulte quali La Società Teosofica, L'Ordo Templi Orientis, la Lucis Trust, il Tempio Di Seth e la Skull & Bones sono servite a stendere le basi per il Nuovo Ordine Mondiale ed applicare quindi quel socialismo predicato da Weishupt e quel comunismo predicato da Marx.
Fonti
WAS KARL MARX A SATANIST?: A Documented Study
https://it.alphahistory.com/chineserevolution/grande-carestia-cinese/
https://allthatsinteresting.com/cannibal-island
https://www.limesonline.com/rivista/morire-di-fame-nel-nome-di-kim-il-sung-14577340/
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